Museo Etnostorico Nello Cassata

Il Museo Etnostorico Nello Cassata

di Barcellona Pozzo di Gotto

Nel Museo, ente privato onlus, dedicato al poeta e storico barcellonese Nello Cassata, sono state ricostruite 45 antiche botteghe d’arti e mestieri ricche di 20 mila reperti d’epoca, catalogati e vincolati dalla Soprintendenza ai Beni Culturali ed Ambientali di Messina, a narrare la magia del fare degli antichi maestri artigiani.

Per ricchezza e la qualità dei reperti é il sito etnoantropologico generalista tra i più importanti in Italia. Nel giardino annesso si trovano piante rare tipiche siciliane e delle terre del Mediterraneo; nel suo laboratorio di restauro ferve quotidianamente l’attività; vengono ciclicamente programmati convegni di studio sull’antropologia generale, la storia, il teatro, l’architettura, la musica, la letteratura, la cultura siciliana.

Il Museo, coniugando cultura e solidarietà, promuove progetti formativi di accoglienza e visite guidate delle botteghe, a titolo gratuito, in favore degli Enti di volontariato che si occupano di disagio sociale, fisico e psichico.

Lungo il sentiero che conduce a Manno sono i frutteti in crescenza, il sagace ulivo, la solitaria pendula arancia, la fluente gialla ginestra, l’amara dolcezza del fiore del mandorlo.

Nel cuore dell’agro è la Casa Museo dei Cassata. Al tramonto, quando il cielo é color merisia, solcate le terre il pendio, vi ritorna l’aratore gibbuto e ricovera il vomere. La quercia millenaria del torchio crepita al giro di vite, si posa sui grappoli d’oro, si spandono effluvi di mosto.

Nella grande stanza ove il battente sente ancora di resina, di bosco, subito ritrovi il coltello di legno, il regolo, la balestrina, la pialla a farfalla, il cestello fumante di carboni. E’ il bottaio.

A vicina misura le agrumaie, raccolte le chiome d’argento nel nero fazzoletto, alla ruvida spugna lavorano l’arancia e il mastello di terracotta, avido di gocce, ne beve il succo placando l’arsura. Al fuoco del crogiuolo come miele sono molli le pepite. L’orafo, in esercizio di ampie volute, piega i filamenti in fuga di ghirigori, al limitare saranno alcova per gemma regale. Il fabbro, terragno in viso, braccia lunghe e forti come rami di quercia fronzuti, carezza alla forgia l’anima del ferro e lo fa docile. Narra del ferro “che sente gemere nelle giunture alle inferriate, ai cancelli, alle ringhiere per la violenza della macchina moderna che né vede né ode, sezionandone il corpo senza seguire le linee di forza. Non è il tempo che lo consuma” dice “non é ruggine che trasuda, é sangue, sangue”. Brilla a raffiche di firmamenti in fuga il forno, e il frumento, odoroso di sterpi, molle alla madia, lievita dolcemente insaporito d’olive cinerine.

Compiuta l’opera sua decora il carradore i fusi, figura le agavi e le arance, i Paladiní d’Angelica, luce e lutti, lava e miele. Il terracottaio , passata al consalemmi, cuce amabilmente con refe di ferro la giara ferita. Qui solo segno del tempo è il trascorrere di nuvole sulla cima del declivio, frullo di foglia che abbandona il ramo é il minuto. Viandante che giungi sosta alla soglia, silente. Scruta, medita, non chiedere, non turbare il lavoro fabbrile, anche un sibilo è violenza. Nottetempo, tra scuro e scuro i mastri artigiani svaniranno come d’incanto, se saprai attendere, torneranno domani a continuare l’opera.

(testo della Direzione del Museo)