Storia – Patrimonio Storico Artistico – Chiesa di Santa Maria della Visitazione – La Visitazione

foto dipinto

IGNOTO (seconda metà secolo XVI)

Tempera su tavola rettangolare chiusa su due lati entro cornice lignea dorata e sormontata da cimasa. – Cm. 230 x 180. – Provenienza: dalla stessa Chiesa.

La tavola è collocata all’altare maggiore. La scena si riferisce all’episodio evangelico della visita di Maria alla cugina Elisabetta, i personaggi centrali attorno a cui gravitano le altre figure. Maria, avvolta in un mantello verde stampigliato in oro che dal capo le scende fino a terra lasciando intravedere la veste rosa, è colta nell’atto di abbracciare la cugina a cui, secondo il racconto evangelico , è legata dal comune destino dei figli che portano entrambe in grembo. Elisabetta ha un abbigliamento più dimesso: anche lei ha il capo coperto, ma da un velo che le arriva appena alle spalle, e un vestito scuro tirato all’indietro sui fianchi in modo da lasciare scoperta la lunga veste rossa. Ai lati i rispettivi sposi: Giuseppe, con tunica operata a losanghe dorate e mantello color ocra, porta un paniere nella mano destra, e, appoggiandosi al bastone con la sinistra, osserva compiaciuto le effusioni delle due cugine; Zaccaria, indossando una veste che scende dalla vita con una sventagliata di pieghe, si appoggia con la mano sinistra al bastone, e con la destra accenna ad un saluto rivolto agli ospiti. Tutti e quattro i personaggi sono caratterizzati da un’aureola dorata, attributo della santità. In secondo piano, la rappresentazione si arricchisce di altre figure: tra Giuseppe e Maria due donne, vestite da suore, una delle quali è rivolta verso l’osservatore; alle spalle di Elisabetta e Zaccaria un gruppo di figure maschili e femminili, abbigliate con una certa ricercatezza, inducono a supporre che possa trattarsi dei membri della famiglia del committente. A destra fa da quinta scenica il prospetto di una casa con una porta aperta, da cui sembrano uscire le figure, e con una finestra in asse su questa, da cui fanno capolino due curiosi. Quest’architettura si innesta perpendicolarmente ad un arco che si apre su un piano parallelo al gruppo delle figure con l’intento prospettico, in verità molto ingenuo, di dare profondità alla scena, attraverso una fuga di edifici posti ai bordi di una strada assolata e animata da figurine di viandanti. A sinistra dell’arco si vedono, sempre sullo sfondo, due architetture simili alle absidi di una chiesa o a torri cilindriche e, più distante ancora, un arco come di porta urbica. Il pavimento a mattonelle alternativamente decorate a cerchi e rombi si adegua all’intento prospettico dell’intera tavola. Ingenuo è anche l’uso della luce che, provenendo da fonti diverse, produce giochi di ombre tra loro inconciliabili, come quello delle ombre proiettate sulla strada e quello che anima il sottarco.

La tavola, certamente rimaneggiata, è sormontata da un pannello rettangolare, in cui è raffigurato il Padre Eterno benedicente che regge con la mano sinistra un globo trasparente.

Il dipinto, ritenuto già dalla Power e dal Di Marzo dello “stile dell’Alibrandi”, trova concordi i più autorevoli studiosi sulla insostenibilità dell’attribuzione tradizionale, considerate le notevoli differenze stilistiche fra esso e gli altri dipinti di sicura paternità alibrandiana. In una postilla manoscritta all’esemplare delle “Memorie” del Grosso Cacopardo appartenuto a F. Rossitto(cfr. p.163), lo storico barcellonese ipotizza che la tavola sia stata eseguita da Giovan Domenico Quagliata, autore della Madonna Odigitria esistente nella stessa chiesa, affermando che questo pittore sia il padre dei più noti Andrea e Giovan Battista, con i quali ha in comune lo stile, anche se nelle sue opere abbondano maggiormente le dorature. Ma anche questa attribuzione suscita forti perplessità. Recentemente la Pugliatti, inserendo la tavola barcellonese in un gruppo di dipinti dai “caratteri primitiveggianti, ovvero ritardati rispetto al momento in cui essi furono eseguiti”, e apprezzandone “la gradevolezza, sia pure soltanto illustrativa”, ne ha indicato il sicuro rapporto culturale con una Natività della Vergine datata 1587 e già conservata nel Palazzo vescovile di S. Lucia del Mela.

Bibliografia : G.CUTRUPIA, 1731, p.49; G.POWER, 1842, p.34; G.DI MARZO, 1855, p.315; A.DE TROVATO- S.RACCUGLIA, 1898, p.22; A. DI BENEDETTO, 1906, p.116 ;A:MANGANARO, 1955, p.5; C. BIONDO, 1986 , pp.46 e 180; N.CASSATA,- A.MANGANARO- G.TRAPANI, s.d.(ma 1986), pp.8 e 13; N.ARICO’, 1989, p.915; T.PUGLIATTI, 1993, pp.283 e 301;A.BILARDO, 3, 1995, p.142; A.BILARDO , 1997, p.129; E. BAVASTRELLI – C.CERAOLO, 1997, p.38.

 L. Aloisio – M.R. Naselli

( tratto da Il Mosaico della Memoria: Pittura e Scultura a Barcellona fra Quattrocento e Seicento, – Messina: SICANIA – Edizioni GBM, 1998 )